domenica 12 marzo 2017

L'albero, il vento e io qui nel mezzo.


La stanza è ampia, alta, luminosa. Il sole entra tagliente dalla finestra superiore, quella appena sotto lo spiovente del tetto, accentuando i chiaro scuri nonostante il pavimento bianco e morbido di materassini,  teli e colleghi al lavoro. 
Le finestre in basso sono socchiuse, e lasciano intravedere gli ulivi del giardino qui intorno,  flessuosi nel vento primaverile. Il canto degli uccelli arriva a tratti, vivace tra il verde delle fronde. La stufa, un'enorme piramide la cui canna fumaria sale fino alle travi di legno del soffitto e oltre, consuma lentamente il suo carico di legna, con un muggito dolce, soffocato e continuo. Sento il calore del fuoco attraversare la stanza,  fino a me,  di spalle. Sono qui, insieme agli altri, un unico corpo composto di tante parti diverse, autonome ma collegate a uno stesso qualcosa che non ho parole per descrivere, o indicare. "Energia" è un termine violentato, che troppi usano a sproposito rischiando di associare quello che sento fluire tra le mie mani ai fotoni sparati dal tubo catodico di un vecchio televisore. Non è così, non c'è nessuna spina, nessuna emissione elettromagnetica che vada a disturbare il segnale della Tre, che pure basterebbe così poco, eppure qualcosa danza sotto e attraverso i miei palmi, si muove,  mi attrae veloce e mi respinge gentile e sinuosa. Mi muovo senza muovermi, ascolto senza ascoltare, assorbo e distinguo le sensazioni che mi arrivano da non so dove senza che una qualsiasi necessità interiore ostacoli il flusso. Danzo,  o meglio mi lascio danzare, al ritmo del contatto, muovendomi attorno al lettino e al mio "ricevente" come un pianeta sulla sua orbita di minimo potenziale lungo la mutevole china dello spazio tempo. Attorno a me l'aria è tanto densa e attiva che mi sostiene nelle pause, nelle accelerazioni, nei movimenti guidati dall'istinto e incanalati dalla pratica. I secondi passano uno dopo l'altro, i minuti scorrono come sospesi a mezza altezza lungo un filo che unisce tutti noi e ogni nostro singolo movimento. 
E dal vento, su in alto, oltre le travi, oltre le tegole e il comignolo... dal vento scendono fino a noi i deboli e struggenti lamenti strappati dalla tramontana a un antico, dimenticato strumento eolico, come suggerimenti in una lingua che, seppure sconosciuta al nostro intelletto, arriva familiare alla nostra anima. 
La primavera nasce attorno a me, attraverso di me. Tra le mie mani sbocciano fiori e, lo sento, almeno fino a che nessuno avrà messo in mezzo la neuro, tutto questo è buono.