sabato 27 febbraio 2016

Shiatsu dove: a domicilio

Una breve e scrupolosamente inutile guida per l'operatore a domicilio. Ma anche per il ricevente

Per svariati motivi può capitare di dover fare il trattamento a casa del cliente. A me, poi, capita spesso, per cui mi vedrete caricare in macchina un grosso borsone nero - il catafalco, l'ha chiamato qualcuno - contentente il futon piegato in otto. Appresso a quello, però, devo imbarcare i cuscini: ne servono almeno un paio. E una copertina, necessaria a volte per ricoprire il ricevente prima che, rilassandosi al limite della trance, finisca in ipotermia. E un cambio di vestiti per me: non posso fare shiatsu in jeans, ma non posso nemmeno girare tutto il giorno in tutina di cotone in previsione di un trattamento da fare a tarda sera. Insomma, i cammelli, caricate borse borsoni e borsette, son pronti: parto.

Salto la descrizione del viaggio, il traffico, la ricerca del parcheggio. A volte poi mi perdo, finisco da un'altra parte e sono costretto a telefonare per chiedere indicazioni:
"Ti vedo dalla finestra, gira a destra"
"A destra, ho detto"
"Non ti vedo più, dove sei finito?"
E via dicendo...

Arrivato finalmente a casa del ricevente, spesso nonostante tutto in orario, la faccenda è più semplice di quello che può sembrare. Si tratta di trovare lo spazio adatto - di solito c'è già stato un accordo telefonico - e aprire a terra il futon sul quale poi io girerò attorno al ricevente, lui bellamente disteso, per poco meno di un'ora. Questione di cinque minuti o giù di lì...
"Ho preparato questo spazio, un metro per un metro, va bene?"
"Veramente il futon è 240x140..."
"Ah, vedo... Allora aiutami a spostare il tavolo"
Ecco: in effetti se mi chiamate perché vi fa male la schiena, forse è meglio aspettare me per spostare il tavolo. Gatti, cani, telefoni, invece, possono essere chiusi a chiave in soffitta anche prima del mio arrivo, tanto per il trattamento non è rigorosamente neccessario averli intorno.

Si comincia con una breve introduzione in cui vengono scambiate informazioni utili, tipo "questo più o meno è lo shiatsu" e "questo più o meno è come mi sento oggi". Poi, spenti i telefoni, attutiti i rumori, orientate le luci dirette in maniera da non averle dritte nell'iride, trovata la comodità, il trattamento può cominciare.

Dura poco meno di un'ora, ma la reale lunghezza è condizionata da quel che trovo via via che tratto tutto il corpo. A volte il ricevente si addormenta, soprattutto se siamo alla fine di una giornata di lavoro, a volte rimane con gli occhi sbarrati per paura di addormentarsi. Spesso alterna i due stati, due facce della stessa medaglia.

A volte prova a chiacchierare per rimanere sveglio, o per superare l'imbarazzo. Non mi oppongo, ma non è necessario e dopo un po' questo diventa chiaro.
Qualsiasi cosa accade è naturale e fa parte del trattamento.
Per una volta, va tutto bene.

lunedì 22 febbraio 2016

Chi dà e chi riceve

Dove sostengo, senza darne alcuna prova, che lo Shiatsu è qualcosa di più che un massaggio

C'è un operatore, che opera, e un ricevente, che guarda un po' riceve. Questa è una necessità logistica: se operiamo in due ci impicciamo le mani e ci viene male, se in due riceviamo, rimarremo lì stesi ad aspettare e non succederà niente fino alla fine dei tempi.
Dal punto di vista semantico, però, questa descrizione non è del tutto corretta. Sembrerebbe infatti, a legger questa cosa, che uno dei due sia un meccanico e l'altro un oggetto passivo che aspetta inerme di essere manipolato. Magari il primo può pensare, tra un muscolo e l'altro, alla spesa che deve fare prima di tornare a casa, o a quante viti inox da 20 mm deve comprare per sistemare la falchetta alla sua barca che l'aspetta in Grecia; l'altro invece, nel frattempo, può chiacchierare al telefono, o leggere un giornale, o ascoltare la sua musica preferita.
E invece non è così. Nel contatto dello shiatsu non c'è nessuna manipolazione meccanica automatizzata. Io operatore raggiungo la massima efficacia quando la mia mente è vuota e solo le mie mani si esprimono, andando da sole dove scoprono di dover andare. Fa molto new age, lo so, ma è più terra terra di quanto possa sembrare.
Dall'altra parte chi riceve in realtà partecipa, inconsapevolmente, al trattamento, perché è proprio il linguaggio non verbale del suo corpo a chiedere, e a ottenere, ciò di cui ha bisogno. Suona strano? All'inizio sì, e per questo è difficile descrivere veramente un trattamento shiatsu a chi non lo ha mai provato. Come è difficile anche, a volte, giustificare il proprio operato.
"Scusa, non per interromperti, ma forse ci siamo capiti male: è qui alla spalla destra che mi fa male"
"Certo, ho capito, tranquillo"
"E allora cosa ci fai da mezz'ora sul mio piede?"
Rilassati, dammi tempo e fiducia, e scoprirai che anche il tuo piede è parte del problema e, contemporaneamente, della soluzione. 
Ma questo il tuo corpo già lo sa.


venerdì 19 febbraio 2016

Siamo seri: che rob'è?

Dove presento lo Shiatsu, il mio, che poi sarebbe l'origine di tutto

Chi mi conosce sa quanto rimanere serio mi risulti tanto più difficile quanto più è serio l'argomento, raggiungendo l'apice qualora personalmente coinvolto nell'affare. Lo shiatsu è una cosa seria, in genere, e lo è soprattutto per me. Quindi?
Quindi mi morderò la lingua, ad ogni battuta forzatamente rimasta inconclusa. Forse avrei dovuto scrivere "mi mordo le dita", ma quelle mi servono per lo shiatsu. Ecco.

Tutto questo perché l'altro giorno mi ha chiamato una mia vecchia amica proponendomi una collaborazione, solo che lei non sa proprio bene di cosa si tratti, anzi diciamo che è attratta dall'idea, e da quello che ha sentito in giro riguardo i benefici, ma in realtà non ne sa assolutamente nulla.
"Hai una brochure?" mi fa
"Sì, ma in Inglese: è quella che distribuisco d'estate, sui moli, in Grecia"
"Va bene lo stesso, almeno comincio a farmi un'idea e spargo la voce tra le mie clienti"
E io gliela mando, ma nel farlo la leggo e mi accorgo che non spiega un granché. Allora provo a cercare in rete qualcosa di pratico, qualcosa che possa far capire a un perfetto estraneo di cosa mi sto occupando veramente negli ultimi anni. E scopro che la maggior parte dei testi sono come la mia brochure: non spiegano un granché.

Stai a vedere che tocca lo spieghi io, magari coi disegnini? Ci provo, per la mia amica. E proverò a essere serio. Diodammilafòrza.

La storia dello shiatsu la si può trovare ovunque, e la salto a pié pari. Olé.
Olé una sega, perché una informazione importante va data: esistono più stili di shiatsu. Fermo restando la validità di tutti, a patto che il rispettivo operatore sia esperto e dotato di cervello, il mio è il più figo. Giudizio soggettivo, indimostrabile, opinabile, sicuramente impreciso ma non per questo necessariamente falso: non è dimostrabile nemmeno il contrario. Del resto lo shiatsu non è scienza. (Lo shiatsu, allo stato attuale delle leggi italiane, non va considerato nemmeno terapia. Quindi non è terapia. E con la legge siamo a posto.)

Il mio si chiama Zen shiatsu, oppure, dal nome del fondatore, stile Masunaga. Che poi è passato del tempo, e ognuno degli allievi del Maestro ha preso una via un pelino diversa, dopodiché sono arrivati gli allievi degli allievi, e poi, dopo svariati passaggi, io... di fatto trovare due operatori Masunaga identici è praticamente impossibile. Anche qui potrei dire che il più figo sono io, ma ho promesso di essere serio e questa davvero non sarebbe sostenibile. Mi limito a pormi tra i più simpatici.

Il funzionamento è apparentemente semplice. Bisogna essere in due: uno fa l'operatore, l'altro il ricevente. Il ricevente riceve il trattamento.
(N.B. lo shiatsu non è un massaggio, per me potete chiamarlo come vi pare, ma alcuni operatori si intristiscono se sentono pronunciare quella parola. Dopo tre anni e mezzo di studi, tale reazione appare quantomeno comprensibile.)
Il ricevente è vestito - così come l'operatore del resto: nessuno è nudo nella stanza - e si stende su un futon. L'operatore gli si mette accanto e comincia a trattarlo, in silenzio, di solito contattando prima la pancia, poi le gambe, il torace, le braccia, la testa. Lo schema non è necessariamente questo, dipende dall'interazione operatore-ricevente e da altre cose che non vi dico perché se no chiamate la neuro, anzi di solito non esistono due trattamenti identici, neanche sulla stessa persona. Di certo c'è che, qualsiasi sia il motivo per cui siete venuti a ricevere shiatsu, il trattamento coinvolgerà tutto il corpo, dalle dita dei piedi alle punte dei capelli. E questo, incredibilmente, ha un senso.
Il trattamento consiste in pressioni - mi scusino i colleghi, so di usare vocaboli banditi - portate con il peso del corpo rilassato e trasmesse dai pollici, dalle dita, dai palmi e, a volte, da gomiti e ginocchia. Niente lividi né dolore. Sto parlando, ricordo, del mio shiatsu.

Svelando il segreto di Pulcinella, le pressioni seguono i meridiani dell'agopuntura, estesi un pelino oltre il percorso tradizionale da tal Sensei Masunaga, e le ragioni per cui si fanno più o meno intense e più o meno rapide a seconda del momento e della zona del corpo sono ricollegate gira che ti rigira a complicati concetti della medicina tradizionale cinese. Di più non dico, c'è sempre la neuro in agguato.

L'effetto immediato è, solitamente, quello di un profondo rilassamento. Questo può far seguito, a volte, a una sensazione di altrettanto forte vitalità. Il corpo prende coscienza, e alcuni riceventi raccontano di aver scoperto di possedere muscoli e tessuti prima a loro sconosciuti. Dimenticati, preciserei io.
Fin qui ho descritto un massaggio, me ne rendo conto. Ma le informazioni le ho già date tutte: meridiani, agopuntura, medicina tradizionale cinese. Yin e yang, aggiungo. Qi.

Ecco che sento le sirene, stanno venendo a prendermi...

venerdì 12 febbraio 2016

Shiatsu e companatico: il sotai

Dove introduco l'altro oggetto di discussione: il misterioso Sotai

Il sotai si è imbarcato su shiatsu-on-board solo di recente. Una serie di conoscenti, colleghi operatori, me ne avevamo parlato in maniera entusiastica, e così alla prima occasione disponibile sono andato a frequentare un corso con il maestro argentino Julio Ortiz Achar. No, non sono andato in Argentina, lui vive a Madrid e no, non sono andato nemmeno a Madrid, si è avvicinato lui: io mi sono limitato a spostarmi verso Trastevere. Un corso de noantri.

Inutile dire che mi si è dischiuso un intero mondo. Il sotai infatti non è, come mi era sembrato in un primo momento di capire, una tecnica ausiliaria allo shiatsu, ma un'arte a sé.
Il punto di partenza è sempre lo stesso, ovvero la consapevolezza che il corpo riflette e condiziona le funzioni vitali, mens sana in corpore sano, potremmo dirla alla nostra maniera. Anche l'approccio al ricevente, se non identico, è quantomeno simile allo stile Zen shiatsu di Masunaga: niente forzature, niente dolore, niente movimenti bruschi, violenti o innaturali.

Da un semplice concetto, quello che il corpo assume una postura che gli permette di sfuggire al dolore provocato da una disfunzione, deriva a cascata tutta una serie di tecniche con le quali l'operatore sfrutta proprio il movimento della fuga, quello più piacevole, per "aggiustare" i problemi. E il tutto senza forzare, come in una ginnastica dolce.
I campi di applicazione sono i più vari, limitati solo dall'esperienza e forse, strano a dirsi, dalla fantasia.

Personalmente, continuo a considerarmi un operatore shiatsu, e di questa disciplina faccio lo strumento principe dei miei trattamenti. Ma sempre di più integro, o alterno, a seconda del problema da affrontare o della persona, o della situazione logistica, con il sotai.
Dove non arrivo con uno, arrivo con l'altro. O magari, con entrambi, arrivo prima. Tutto questo è fantastico.

Il dottor Hashimoto - codificatore del sotai - al lavoro