venerdì 9 dicembre 2016

Manca qualcosa

Nell'ottobre 2006 la Shiatsu Society UK (www.shiatsusociety.org) ha commissionato al Centre for Complementary Healthcare & Integrated Medicine CCHIM, Faculty of Health and Human Sciences della Thames Valley University uno studio finalizzato a "... to identify and appraise scientific publications on the practice of Shiatsu in order to determine the direction of future research for the Shiatsu profession."
Credo che la stessa cosa sia stata ripetuta nel 2011, perché ne ho trovato traccia in bibliografia qua e là, ma sono riuscito a trovare online solo l'edizione 2006, quindi parlerò di quello. Pare comunque che le conclusioni a distanza di cinque anni non fossero poi così diverse.
Intanto ammetto che, provato dalle ultime esperienza negative riguardanti le fonti bibliografiche presenti, solo raramente, nei vari articoli sullo shiatsu letti in rete e sulle pubblicazioni cartacee (fonti che di solito finiscono per incartarsi tra loro fino a chiamarsi in causa vicendevolmente e a non capire chi per primo ha detto una certa cosa o, comunque, chi mai l'ha dimostrata), la prima cosa che ho fatto è andare a controllare chi sia l'altisonante Centro per la Medicina Integrata e la Salute Complementare della Facoltà di Scienze Umane dell'Università della Thames Valley.
E ho scoperto che l'università in questione non esiste. O almeno, non esiste ora. È sparita lasciando pochissime tracce, da cui credo di aver capito che è durata fino a che l'unico referente e responsabile non ha finito di spendere i fondi di un assegno "Reale". Pare avesse sei o sette collaboratori, e si occupasse di medicina tradizionale cinese e terapie ad essa collegate. Una meteora.
Lo shock è stato forte, ma ormai ero preparato. Talmente preparato che, alla fine, lo studio in questione me lo sono spulciato comunque, e sono stato ripagato dalla scoperta che, per quanto non abbia molti termini di paragone soprattutto nell'argomento specifico, sembra fatto bene.
La premessa è servita essenzialmente sfogarmi, ma ha un risvolto interessante: perché in un mondo che, dal punto di vista scientifico, sembra composto da peracottari senza scrupoli, improvvisamente esce fuori uno studio tecnicamente corretto?
Credo che le ragioni siano essenzialmente tre. La prima dipende dal committente, perché se andate a curiosare sul sito della Shiatsu Society vi accorgerete di quanto siano pragmatici quando si tratta di mettere in grado i loro allievi di spendere il proprio diploma. La seconda è che lo studio è più statistico che scientifico, è un'analisi di altre pubblicazioni sedicenti scientifiche ("The aim of this report was to systematically review the current evidence base for Shiatsu by identifying relevant scientific publications and appraising the quality of the research published to date"): il compito così è facilitato. La terza è che l'Ente che lo ha prodotto si occupa(va) prevalentemente di agopuntura, dove evidentemente l'ambiente è un po' diverso.
Tanto è che già nel Capitolo 6, Risultati e Analisi, emerge la differenza:
su 603 pubblicazioni individuate utilizzando le parole chiave "shiatsu" e "agopuntura", solo 146 hanno passato il filtro iniziale (essenzialmente l'uso di strumenti nella terapia). Questi 146 sono poi stati ulteriormente scremati, eliminando per esempio quelli privi di risultato, fino ad arrivare al numero definitivo di pubblicazioni ritenute serie e utili.
Quarantasei.
Di queste 46, 41 sono relative all'agopuntura, e 5 (cinque!) allo shiatsu.
C'è una certa differenza, o no?
E ancora:
"The Shiatsu publications comprised three uncontrolled studies and two quasiexperimental studies (without a randomised control group). For acupressure, three were systematic reviews, 23 randomised controlled trials (RCTs), 14 quasiexperimental studies (without a randomised control group) and one uncontrolled study. The majority of studies used a standardised acupressure/Shiatsu procedure, only five studies were pragmatic."
Non siamo nemmeno, se non in rari casi, a livello "quasi sperimentale".
Lo studio prosegue con un riassunto delle cinque pubblicazioni decenti, le quali non hanno destato in me particolare esaltazione, e finalmente la conclusione:
"There was insufficient evidence both in quantity and quality on Shiatsu in order to provide consensus".

Lo studio è in realtà lungo 130 pagine, la maggior parte delle quali occupata da riassunti degli articoli selezionati e di alcuni di quelli scartati, e svariate tabelle sui disturbi trattati. Può essere interessante dargli un'occhiata. Quello però che mi piacerebbe è che la quantità e la qualità degli articoli crescesse nel tempo fino ad arrivare ad una "sufficient evidence".
Qualcosa da poter citare in bibliografia senza il timore di diffondere una buffonata o, peggio, una bufala.
Mi stanno bene gli articoli filosofici sul significato profondo del Qi e su come i meridiani rappresentino lo scorrere della nostra vita, ma uno studio che mi permettesse di dichiarare, da un punto di vista - si badi bene - statistico e non scientifico:
"è provato che lo shiatsu funziona per (segue elenco)" 
mi sarebbe più utile per coinvolgere, convincere, rassicurare i miei attuali e futuri clienti.
Ci diamo da fare?

sabato 3 dicembre 2016

Il Chi, la barca e la ricerca del benessere

La scia si allunga, di giorno bianca e densa di vita, di notte luminosa come una chioma di sogni e di stelle. L'acqua scorre sulla carena, e romba, canta, sussurra, secondo il vento, secondo il cielo, secondo che il tramonto sia stato rosso o grigio.C'è rosso di sera da parecchi giorni, e il vento canterella nell'attrezzatura, fa sbattere ogni tanto una drizza contro l'albero, passa sulle vele come una carezza, e prosegue verso ovest e Madera, mentre il Joshua scende a 7 nodi verso sud, nell'Aliseo.Vento, mare, barca e vele formano un tutto unico, compatto e diffuso, senza principio né fine, che è parte e tutto dell'universo, di questo mio universo.
Bernard Moitessier - La lunga rotta

Diciamo che sono al comando di una barca ma non lo so. Non sono mai salito, almeno non ricordo, e certo mai saprò se e come scendere a terra. Devo farla andare veloce, ma non so cosa significhi. 
La particolarità vera è che ho un campo visivo ridotto, come se guardassi la realtà attraverso un tubo stretto e lungo, che a 5 metri mi permette di vedere pochi cm di bianco quando lo punto verso la vela, o di nero quando guardo verso il winch. Non posso accorgermi di come sono fatti, e il collegamento meccanico tra i due è talmente lungo da seguire che per quanto ne so non esiste. Sento dell'aria sulla guancia: è il vento ma non so cos'è, il vento. E il mare in burrasca non l'ho mai visto anche se da sempre ci sono nel mezzo: ogni tanto barcollo un po', mi sento scosso, ma chi mai potrebbe immaginarsi l'esistenza dell'onda senza mai averla vista frangere? 
Quando le vele sono a segno la barca corre leggera e potente e io, ignaro, mi sento bene.  Ma il vento cambia e le vele fileggiano. La barca si muove stanca ed è preda del rollio, e io, altrettanto ignaro, con lei. 
La Medicina Tradizionale Cinese si è accorta che ci sono dei segnavento verdi e rossi (non sa che sono segnavento, certo) sulla vela, e che quando questi sono paralleli tra loro la barca dà il massimo. Questo, lo ribadisco, senza che io sappia di essere su una barca anche perché in questa metafora se pure ne vedessi una non la riconoscerei per quella che è. Si è accorta, anche, che muovendo un poco il timone (non sa che è un timone, né ha una bussola per capire che è la barca che si muove) si controlla il comportamento dei segnavento. E questo fa lo shiatsu. Muove il timone senza chiamarlo per nome, senza sapere da quanti e quali pezzi è composto, fino a riportare la barca al vento. E questo seguendo non la vista o la conoscenza fisica del fenomeno, ma la vaga sensazione di fresco su una delle guance, il ritmo del rollio e del beccheggio. Vedo solo due fili, mi adopero a renderli paralleli e ottengo il benessere. 
Questo è per me la Medicina Tradizionale Cinese: un sistema di metafore (il Chi, Yin e Yang, Kyo e Jitsu) per ordinare organicamente, e ricordare, e ragionare su, una realtà fatta di venti variabili, mura a dritta o a sinistra, andature di bolina o al lasco, mare calmo o mosso, che non si ha la possibilità di indagare e comprendere. E tuttavia funziona, perché agisce sul timone che rimette in rotta la barca accostando esattamente quando serve e di quanto serve. 
Non c'è bisogno, a o almeno io non ne ho, di aver cieca fede nella rivisitazione pseudo scientifica del "Chi" come energia nel senso e=mc^2, orbitali elettronici, biofotoni e tutte le cazzate che precedono e seguono, per avere fiducia nel mio shiatsu. 
Trovo utile invece, se non essenziale, attenermi alla antica metafora, a "credere" nelle sue forme e a seguire quanto essa suggerisce, perché so che per quanto forse, probabilmente anzi, non descriva la realtà, ma fa andar bene la barca, e l'importante è che la nostra scia si allunghi fino all'orizzonte.
Che poi, a ripensarci, la realtà è così sopravvalutata... 

domenica 27 novembre 2016

La ricerca del cambiamento

C'è una mano madre, yin, e una mano figlia, yang: una ascolta il meridiano, l'altra lo lavora.
Il meridiano, il suo Qi anzi, risuona meglio quando viene contattato con una frequenza sua propria. Dipende dal meridiano, dipende dal ricevente. Dipende. 

Non c'è niente di scientifico in questo, nonostante generazioni di terapisti hanno sperato in una qualche giustificazione che li distinguesse una volta per tutte da maghi e affini. È tutto empirico. Funziona? Sì. Puoi farne un esperimento ripetibile da chiunque che, con chiunque, dia uguale o analogo risultato? No. Allora stacce, non è scienza nemmeno a questo giro, aspettiamo fiduciosi il prossimo.

Tornando a noi, il meridiano vibra, prendiamo in prestito questo verbo, e le due mani possono entrare in risonanza con tale vibrazione. Quando lo fanno il lavoro funziona meglio.
Ne parlavo con Clifford la scorsa settimana, a un suo seminario. È lecito, è utile cambiare la frequenza, cercare magari coscientemente di trascinare il meridiano a una velocità maggiore, o di rallentarlo? It depends. Ovvio, me lo aspettavo. It depends on your bank account. Questo un po' meno.
Lavora alla stessa velocità del meridiano e avrai tonnellate di clienti, saranno tutti contenti, rilassati, coccolati, soddisfatti, E torneranno.
Prova a intervenire, a cambiare qualcosa, e potrai a volte incontrare resistenza, perché nonostante uno sia venuto da te per un motivo, un disagio un disturbo, un dolore, non è detto che cambiare sia facile o piacevole. Magari si è adattato talmente tanto che tornare in uno stato di equilibrio gli sarà inizialmente sgradito. Ma quando ci sarai riuscito avrai risolto il suo problema. (E quindi avrai perso un cliente, da qui la battuta di Cliff sul mio conto in banca).

Mi vengono in mente i miei studi di chimica fisica, non che con questo voglia far rientrare la scienza dalla finestra.
Alcuni composti chimici si presentano in diversi stereoisomeri, che differiscono tra loro solo per l'orientamento reciproco dei propri componenti, e questa diversa configurazione spaziale dà alla relativa sostanza caratteristiche fisiche differenti. Alcune di queste configurazioni - date temperatura e pressione ambientali - sono più stabili di altre, il che si riduce, da un punto di vista energetico, a riconoscere che una certa struttura ha un'energia potenziale più bassa dell'altra. Allora perché ogni molecola non scivola spontaneamente giù fino alla sua forma più stabile?
Perché tra la configurazione in cui si trova e quella a energia potenziale minima esiste un picco, una barriera energetica, che può essere superata solo con l'aiuto di uno stimolo esterno.

Come se finiste la benzina su una montagna, e doveste spingere la macchina fino a valle, e sarebbe tutto facilissimo se non vi mancasse un ultimo piccolo, "insignificante" dosso per poi poter sfruttare la discesa finale.
Spingere fino alla cima di quel dosso non sarà facile, forse neanche piacevole, ma è l'unica via per scendere dalla montagna e arrivare a valle.
L'unica via al cambiamento.
fonte immagine: http://images.slideplayer.it/17/5439873/slides/slide_11.jpg (modificata)

giovedì 24 marzo 2016

L'uomo e la macchina

In cui teorizzo la differenza tra cura e prevenzione utilizzando argute metafore nautiche.

Ci pensavo un paio di domeniche fa, mentre viaggiavo in macchina verso Fiumicino e un pranzo in barca di amici. Pensavo, specificamente: "Tra poco qualcuno potrebbe chiedermi qualcosa dello shiatsu, e io dovrò imbastire una risposta al tempo corretta e fantasiosa". Penso molto, quando sono in macchina.
E così, per onorare l'ambiente, mi son ritrovato a costruire una metafora adatta a una barca a vela.

Dovete sapere, a questo punto della storia, che la barca a vela ha in realtà un motore, e che questo motore è di fatto l'incubo di ogni velista che si rispetti. Infatti esso serve come ausilio in situazioni particolari, di solito assai delicate: non dovrebbero esserci dubbi sul suo funzionamento in tali circostanze. Ma il condizionale è d'obbligo.
La faccio breve e passo subito alla metafora, ché dicono che i post troppo lunghi non li legge nessuno.

La metafora nautica

Nessuno andrebbe in giro con il motore rotto, su questo non ci piove. A volte, però, il motore comincia improvvisamente a fare un rumorino strano... "Sarà la cinghia? Un cuscinetto?" O forse addirittura la famigerata "Distribuzione"? Comunque sia in un primo momento ci allarmiamo, poi, dopo un po', se non succede niente, ci facciamo l'orecchio. Se anche dovesse peggiorare, purché poco per volta, quasi impercettibilmente, non ci colpisce più come prima. "Funziona lo stesso, del resto è vecchio, mica può essere perfetto".
I più pratici di noi sanno bene che con ogni probabilità quel rumore è sintomo di qualcosa che si sta usurando più velocemente del dovuto e che, una volta usurato, ci lascerà improvvisamente e, statisticamente, nel momento peggiore tra quelli ipotizzabili. Quelli di noi che hanno davanti una navigazione impegnativa faranno dei controlli, impiegheranno più attenzione. Ma non è che sia particolarmente più simpatico ritrovarsi a sorpresa con il motore rotto davanti al porto di casa piuttosto che a 1000 miglia di distanza. Ed essere abbastanza vicini alla costa per poter telefonare a un amico implica anche che abbiamo meno tempo per risolvere il problema prima che vento e onde ci portino sugli scogli. Ma sto andando fuori tema.

Quello che intendo scrivere è che ci abituiamo ai difetti della macchina e non ci facciamo più caso. La marcia che "gratta", l'alternatore che carica poco, la spia della temperatura che è un po' sopra la normalità. Il motore gira lo stesso, ci porta ugualmente dove vogliamo e quindi va bene. Accettiamo il compromesso insito nella situazione, ovvero che prima o poi dovremo intervenire, e più aspettiamo più sarà complicato, costoso e, a volte, pericoloso.

Nella nautica, il buon armatore, lo skipper responsabile, l'esperto velista, seguono un programma di manutenzione. Ogni stagione si cambia l'olio (magari è ancora buono, ma perché aspettare che non vada più bene e abbia già fatto danno?), ogni anno la girante (un pezzo della pompa dell'acqua che se si rompe ti lascia a piedi), le cinghie, i filtri del gasolio. Si regolano le punterie, si pulisce il circuito di raffreddamento, si controllano le spazzole di alternatore e motorino di avviamento. Tutte cose apparentemente inutili nell'immediato, ma che allontanano il fatidico momento in cui dovremo affrontare una spiacevole situazione.
Avrete sicuramente intuito dove voglio andare a parare: veniamo finalmente al nostro corpo.

Il nostro corpo

Ci svegliamo una mattina con un dolorino al collo. Avvertiamo fastidio, ma non abbiamo tempo per occuparcene. Passano i giorni, e la maggior parte delle volte il dolore va via come è venuto. O forse rimane, ma non è certo invalidante, per cui non ci facciamo più caso. Certo, verso destra non possiamo più voltare la testa come prima, e per ovviare a questo siamo costretti a ruotare tutto il corpo con un movimento innaturale, ma dopo tutto le funzioni vitali principali - lavorare e pagare le bollette - sono ancora sufficientemente attive: siamo ufficialmente sani. Passano i giorni, i mesi. E i movimenti si adattano a sfuggire al dolore, a proteggerci, mentre una parte del corpo pian piano si irrigidisce e il dolore migra lungo le catene muscolari.
Decidiamo di intervenire solo quando la macchina che trasporta ogni giorno la nostra autocoscienza, il nostro corpo materiale - l'unico che abbiamo, fino a prova contraria - si inceppa definitivamente e non ci permette più di andare avanti. Il dolore a quel punto si è istallato in profondità, i muscoli contratti sono molteplici, i movimenti sbagliati hanno sconvolto senza che nemmeno ce ne rendessimo conto le nostre abitudini, il nostro linguaggio non verbale, la nostra indole. E quello che era un piccolo problema si è trasformato in un qualcosa che nessuno sa bene come affrontare.

L'arguzia finale

A questo punto dovrebbe esserci il rullo di tamburi e dovrebbero entrare in gioco lo Shiatsu e il Sotai, e dovrei forse descrivere come queste arti "magiche" possano risolvere tutto, e subito. In realtà più una disfunzione è radicata e più sarà lungo e complicato il recupero, e questo vale per qualsiasi metodo uno voglia adottare, compresi quelli che io conosco.
Lo scopo di questo lunghissimo discorso è, diversamente, affermare che lo Shiatsu e il Sotai andrebbero utilizzati prima dell'ultimo stadio, anzi addirittura prima che sopraggiunga il minimo dolore, come fossero il programma di manutenzione che ogni bravo skipper segue stagione dopo stagione.

Perché, come dice il saggio, nessuno sarebbe così stolto da iniziare a scavare il pozzo quando ormai ha sete.

domenica 13 marzo 2016

Il ricevente: chi è costui

Dove discuto del perché uno dovrebbe mai scegliere di ricevere shiatsu. Ma non me la tiro.


C'è chi un sintomo non ce l'ha, o almeno non viene con uno scopo preciso. "Voglio rilassarmi" la richiesta più comune. "Sono curioso", a volte. In quel caso è il suo corpo a indirizzare il trattamento. Il corpo lo sa, qual è lo scopo per cui è qui.
C'è chi invece il sintomo ce l'ha. Anzi, secondo una statistica fatta tra alcuni colleghi, validi quanto e certo più di me, chi ha un sintomo concreto sceglie preferibilmente e senza alcun motivo valido il sottoscritto. Tipo: mi fa male una spalla. Oddìo che male alla schiena. Ommadònna non riesco a girare il collo. In effetti la colonna vertebrale non è mai messa bene, ahimé, al giorno d'oggi, e squilibri presenti da quei pizzi tendono a viaggiare verso, o dalle, articolazioni fino a trasformarsi, amplificarsi, a volte a mimetizzarsi.
Un sintomo può essere anche, che so, la stanchezza, o la digestione pesante. "Me puzzano l'ascelle: che ce poi fa' quarcosa?" Sine, faccio io. A patto che te sei prima lavato, però (perché lo shiatsu, l'ho già scritto, va fatto in due, e poi se m'attanfi 'r futon - te 'o dico - me se prende a male).
Il sintomo è una faccenda molto personale. Molti sintomi addirittura nemmeno esistono fino a quando non ci accorgiamo della loro esistenza. Una collega ha avuto "in cura" un tipo cui faceva male un ginocchio. Dopo tre sedute pare se ne sia uscito con "Sai, non ti avevo detto che soffrivo di insonnia, ecco: mi è passata!": era così abituato che ne aveva fatto la sua normalità. 
Conviviamo coi nostri piccoli dolori, con le nostre somatizzazioni, le integriamo, le facciamo nostre e quasi ci affezioniamo. Solo quando ce ne liberiamo, se capita, se magari lo shiatsu le stana, ci accorgiamo che già da un po' avremmo potuto vivere più comodamente.

Sintomo in campana, lo shiatsu te stana... gajardo, ne farò il mio motto.


venerdì 4 marzo 2016

Shiatsu dove: in barca

Affinità e divergenze tra il trattamento casalingo e quello "On Board"

Lo shiatsu è raccoglimento, allineamento, equilibrio. La barca si muove.
Già da questo si capisce qual è la differenza principale. Ma andiamo per ordine.

Il futon è aperto a prua. La tuga è flushdeck e gli unici ingombri sono il passauomo della cala vele e l'osteriggio del bagno. Ah, un attimo, ho sbagliato blog... riformulo:
Il futon è aperto a prua: la mia barca è piatta, sopra, e ben si presta, a parte un paio di aperture finestrate che, però, vengono agevolmente disinnescate con un paio di materassini in più. Il trattamento è ovviamente all'aperto. Ciò significa un sacco di sole - per questo sistemo un telo ombreggiante che protegge dalle ustioni operatore e ricevente - ma anche, a volte, di vento: quando ce n'è troppo, e ultimamente son stato in posti in cui il vento non te la manda a dire, bisogna rimandare. Negli altri casi utilizzo pesi da sub per trattenere gli angoli del futon, che altrimenti si cappotterebbe portandomi via la persona da sotto le mani.
La barca è questa, e quest'anno la zona di navigazione sarà più o meno quella dello scorso, ovvero l'Egeo tra Golfo di Atene, Cicladi, Creta e Dodecaneso.

Dal punto di vista logistico siamo a posto, tutto il resto non dipende dall'imbarcazione specifica o dal clima del giorno, ma dall'essere propriamente su un oggetto galleggiante che, per sua natura, non sta fermo.
All'àncora questo è evidente: anche semplicemente nel camminare bisogna tenere le ginocchia un po' più basse del solito, e molto più molleggiate. Perfino in porto, ben assicurati alla banchina, un minimo, impercetibile ondeggiare c'è sempre. E se la persona comune non se ne accorge, l'operatore shiatsu durante il trattamento sì. 
Il suo equilibrio, il suo allineamente accuratamente ricercato negli anni per portare esattamente il peso giusto e non un grammo di più ad ogni pressione, vanno immediatamente in crisi non appena comincia il trattemento. E allora?
Secondo un mio amico, forse meno velista di me, ma certamente più esperto nello shiatsu, perdendo i normali riferimenti di equilibrio si raggiunge in realtà l'optimum energetico, a patto di far partire tutto dall'interno. Suona astruso ma ha un senso. 
Dal punto di vista pratico io, che non sono un insegnante come Paolo, mi limito ad abbassare il baricentro, ad assecondare la barca - be like water - e a cercare l'armonia non solo con il ricevente ma anche con la natura che circonda entrambi. 
E anche questo, non c'è dubbio, ha un senso.


sabato 27 febbraio 2016

Shiatsu dove: a domicilio

Una breve e scrupolosamente inutile guida per l'operatore a domicilio. Ma anche per il ricevente

Per svariati motivi può capitare di dover fare il trattamento a casa del cliente. A me, poi, capita spesso, per cui mi vedrete caricare in macchina un grosso borsone nero - il catafalco, l'ha chiamato qualcuno - contentente il futon piegato in otto. Appresso a quello, però, devo imbarcare i cuscini: ne servono almeno un paio. E una copertina, necessaria a volte per ricoprire il ricevente prima che, rilassandosi al limite della trance, finisca in ipotermia. E un cambio di vestiti per me: non posso fare shiatsu in jeans, ma non posso nemmeno girare tutto il giorno in tutina di cotone in previsione di un trattamento da fare a tarda sera. Insomma, i cammelli, caricate borse borsoni e borsette, son pronti: parto.

Salto la descrizione del viaggio, il traffico, la ricerca del parcheggio. A volte poi mi perdo, finisco da un'altra parte e sono costretto a telefonare per chiedere indicazioni:
"Ti vedo dalla finestra, gira a destra"
"A destra, ho detto"
"Non ti vedo più, dove sei finito?"
E via dicendo...

Arrivato finalmente a casa del ricevente, spesso nonostante tutto in orario, la faccenda è più semplice di quello che può sembrare. Si tratta di trovare lo spazio adatto - di solito c'è già stato un accordo telefonico - e aprire a terra il futon sul quale poi io girerò attorno al ricevente, lui bellamente disteso, per poco meno di un'ora. Questione di cinque minuti o giù di lì...
"Ho preparato questo spazio, un metro per un metro, va bene?"
"Veramente il futon è 240x140..."
"Ah, vedo... Allora aiutami a spostare il tavolo"
Ecco: in effetti se mi chiamate perché vi fa male la schiena, forse è meglio aspettare me per spostare il tavolo. Gatti, cani, telefoni, invece, possono essere chiusi a chiave in soffitta anche prima del mio arrivo, tanto per il trattamento non è rigorosamente neccessario averli intorno.

Si comincia con una breve introduzione in cui vengono scambiate informazioni utili, tipo "questo più o meno è lo shiatsu" e "questo più o meno è come mi sento oggi". Poi, spenti i telefoni, attutiti i rumori, orientate le luci dirette in maniera da non averle dritte nell'iride, trovata la comodità, il trattamento può cominciare.

Dura poco meno di un'ora, ma la reale lunghezza è condizionata da quel che trovo via via che tratto tutto il corpo. A volte il ricevente si addormenta, soprattutto se siamo alla fine di una giornata di lavoro, a volte rimane con gli occhi sbarrati per paura di addormentarsi. Spesso alterna i due stati, due facce della stessa medaglia.

A volte prova a chiacchierare per rimanere sveglio, o per superare l'imbarazzo. Non mi oppongo, ma non è necessario e dopo un po' questo diventa chiaro.
Qualsiasi cosa accade è naturale e fa parte del trattamento.
Per una volta, va tutto bene.

lunedì 22 febbraio 2016

Chi dà e chi riceve

Dove sostengo, senza darne alcuna prova, che lo Shiatsu è qualcosa di più che un massaggio

C'è un operatore, che opera, e un ricevente, che guarda un po' riceve. Questa è una necessità logistica: se operiamo in due ci impicciamo le mani e ci viene male, se in due riceviamo, rimarremo lì stesi ad aspettare e non succederà niente fino alla fine dei tempi.
Dal punto di vista semantico, però, questa descrizione non è del tutto corretta. Sembrerebbe infatti, a legger questa cosa, che uno dei due sia un meccanico e l'altro un oggetto passivo che aspetta inerme di essere manipolato. Magari il primo può pensare, tra un muscolo e l'altro, alla spesa che deve fare prima di tornare a casa, o a quante viti inox da 20 mm deve comprare per sistemare la falchetta alla sua barca che l'aspetta in Grecia; l'altro invece, nel frattempo, può chiacchierare al telefono, o leggere un giornale, o ascoltare la sua musica preferita.
E invece non è così. Nel contatto dello shiatsu non c'è nessuna manipolazione meccanica automatizzata. Io operatore raggiungo la massima efficacia quando la mia mente è vuota e solo le mie mani si esprimono, andando da sole dove scoprono di dover andare. Fa molto new age, lo so, ma è più terra terra di quanto possa sembrare.
Dall'altra parte chi riceve in realtà partecipa, inconsapevolmente, al trattamento, perché è proprio il linguaggio non verbale del suo corpo a chiedere, e a ottenere, ciò di cui ha bisogno. Suona strano? All'inizio sì, e per questo è difficile descrivere veramente un trattamento shiatsu a chi non lo ha mai provato. Come è difficile anche, a volte, giustificare il proprio operato.
"Scusa, non per interromperti, ma forse ci siamo capiti male: è qui alla spalla destra che mi fa male"
"Certo, ho capito, tranquillo"
"E allora cosa ci fai da mezz'ora sul mio piede?"
Rilassati, dammi tempo e fiducia, e scoprirai che anche il tuo piede è parte del problema e, contemporaneamente, della soluzione. 
Ma questo il tuo corpo già lo sa.


venerdì 19 febbraio 2016

Siamo seri: che rob'è?

Dove presento lo Shiatsu, il mio, che poi sarebbe l'origine di tutto

Chi mi conosce sa quanto rimanere serio mi risulti tanto più difficile quanto più è serio l'argomento, raggiungendo l'apice qualora personalmente coinvolto nell'affare. Lo shiatsu è una cosa seria, in genere, e lo è soprattutto per me. Quindi?
Quindi mi morderò la lingua, ad ogni battuta forzatamente rimasta inconclusa. Forse avrei dovuto scrivere "mi mordo le dita", ma quelle mi servono per lo shiatsu. Ecco.

Tutto questo perché l'altro giorno mi ha chiamato una mia vecchia amica proponendomi una collaborazione, solo che lei non sa proprio bene di cosa si tratti, anzi diciamo che è attratta dall'idea, e da quello che ha sentito in giro riguardo i benefici, ma in realtà non ne sa assolutamente nulla.
"Hai una brochure?" mi fa
"Sì, ma in Inglese: è quella che distribuisco d'estate, sui moli, in Grecia"
"Va bene lo stesso, almeno comincio a farmi un'idea e spargo la voce tra le mie clienti"
E io gliela mando, ma nel farlo la leggo e mi accorgo che non spiega un granché. Allora provo a cercare in rete qualcosa di pratico, qualcosa che possa far capire a un perfetto estraneo di cosa mi sto occupando veramente negli ultimi anni. E scopro che la maggior parte dei testi sono come la mia brochure: non spiegano un granché.

Stai a vedere che tocca lo spieghi io, magari coi disegnini? Ci provo, per la mia amica. E proverò a essere serio. Diodammilafòrza.

La storia dello shiatsu la si può trovare ovunque, e la salto a pié pari. Olé.
Olé una sega, perché una informazione importante va data: esistono più stili di shiatsu. Fermo restando la validità di tutti, a patto che il rispettivo operatore sia esperto e dotato di cervello, il mio è il più figo. Giudizio soggettivo, indimostrabile, opinabile, sicuramente impreciso ma non per questo necessariamente falso: non è dimostrabile nemmeno il contrario. Del resto lo shiatsu non è scienza. (Lo shiatsu, allo stato attuale delle leggi italiane, non va considerato nemmeno terapia. Quindi non è terapia. E con la legge siamo a posto.)

Il mio si chiama Zen shiatsu, oppure, dal nome del fondatore, stile Masunaga. Che poi è passato del tempo, e ognuno degli allievi del Maestro ha preso una via un pelino diversa, dopodiché sono arrivati gli allievi degli allievi, e poi, dopo svariati passaggi, io... di fatto trovare due operatori Masunaga identici è praticamente impossibile. Anche qui potrei dire che il più figo sono io, ma ho promesso di essere serio e questa davvero non sarebbe sostenibile. Mi limito a pormi tra i più simpatici.

Il funzionamento è apparentemente semplice. Bisogna essere in due: uno fa l'operatore, l'altro il ricevente. Il ricevente riceve il trattamento.
(N.B. lo shiatsu non è un massaggio, per me potete chiamarlo come vi pare, ma alcuni operatori si intristiscono se sentono pronunciare quella parola. Dopo tre anni e mezzo di studi, tale reazione appare quantomeno comprensibile.)
Il ricevente è vestito - così come l'operatore del resto: nessuno è nudo nella stanza - e si stende su un futon. L'operatore gli si mette accanto e comincia a trattarlo, in silenzio, di solito contattando prima la pancia, poi le gambe, il torace, le braccia, la testa. Lo schema non è necessariamente questo, dipende dall'interazione operatore-ricevente e da altre cose che non vi dico perché se no chiamate la neuro, anzi di solito non esistono due trattamenti identici, neanche sulla stessa persona. Di certo c'è che, qualsiasi sia il motivo per cui siete venuti a ricevere shiatsu, il trattamento coinvolgerà tutto il corpo, dalle dita dei piedi alle punte dei capelli. E questo, incredibilmente, ha un senso.
Il trattamento consiste in pressioni - mi scusino i colleghi, so di usare vocaboli banditi - portate con il peso del corpo rilassato e trasmesse dai pollici, dalle dita, dai palmi e, a volte, da gomiti e ginocchia. Niente lividi né dolore. Sto parlando, ricordo, del mio shiatsu.

Svelando il segreto di Pulcinella, le pressioni seguono i meridiani dell'agopuntura, estesi un pelino oltre il percorso tradizionale da tal Sensei Masunaga, e le ragioni per cui si fanno più o meno intense e più o meno rapide a seconda del momento e della zona del corpo sono ricollegate gira che ti rigira a complicati concetti della medicina tradizionale cinese. Di più non dico, c'è sempre la neuro in agguato.

L'effetto immediato è, solitamente, quello di un profondo rilassamento. Questo può far seguito, a volte, a una sensazione di altrettanto forte vitalità. Il corpo prende coscienza, e alcuni riceventi raccontano di aver scoperto di possedere muscoli e tessuti prima a loro sconosciuti. Dimenticati, preciserei io.
Fin qui ho descritto un massaggio, me ne rendo conto. Ma le informazioni le ho già date tutte: meridiani, agopuntura, medicina tradizionale cinese. Yin e yang, aggiungo. Qi.

Ecco che sento le sirene, stanno venendo a prendermi...

venerdì 12 febbraio 2016

Shiatsu e companatico: il sotai

Dove introduco l'altro oggetto di discussione: il misterioso Sotai

Il sotai si è imbarcato su shiatsu-on-board solo di recente. Una serie di conoscenti, colleghi operatori, me ne avevamo parlato in maniera entusiastica, e così alla prima occasione disponibile sono andato a frequentare un corso con il maestro argentino Julio Ortiz Achar. No, non sono andato in Argentina, lui vive a Madrid e no, non sono andato nemmeno a Madrid, si è avvicinato lui: io mi sono limitato a spostarmi verso Trastevere. Un corso de noantri.

Inutile dire che mi si è dischiuso un intero mondo. Il sotai infatti non è, come mi era sembrato in un primo momento di capire, una tecnica ausiliaria allo shiatsu, ma un'arte a sé.
Il punto di partenza è sempre lo stesso, ovvero la consapevolezza che il corpo riflette e condiziona le funzioni vitali, mens sana in corpore sano, potremmo dirla alla nostra maniera. Anche l'approccio al ricevente, se non identico, è quantomeno simile allo stile Zen shiatsu di Masunaga: niente forzature, niente dolore, niente movimenti bruschi, violenti o innaturali.

Da un semplice concetto, quello che il corpo assume una postura che gli permette di sfuggire al dolore provocato da una disfunzione, deriva a cascata tutta una serie di tecniche con le quali l'operatore sfrutta proprio il movimento della fuga, quello più piacevole, per "aggiustare" i problemi. E il tutto senza forzare, come in una ginnastica dolce.
I campi di applicazione sono i più vari, limitati solo dall'esperienza e forse, strano a dirsi, dalla fantasia.

Personalmente, continuo a considerarmi un operatore shiatsu, e di questa disciplina faccio lo strumento principe dei miei trattamenti. Ma sempre di più integro, o alterno, a seconda del problema da affrontare o della persona, o della situazione logistica, con il sotai.
Dove non arrivo con uno, arrivo con l'altro. O magari, con entrambi, arrivo prima. Tutto questo è fantastico.

Il dottor Hashimoto - codificatore del sotai - al lavoro

giovedì 21 gennaio 2016

E io che c'entro?

Dove mi presento, ma resto sul vago, e comincio a darmi le arie

Avevo 14 anni quando mi si bloccò la schiena per la prima volta. Stavo correndo sotto la pioggia - non ero matto, era atletica leggera - quando stak! Tutto insieme un blocco tra le scapole mi costrinse a fermarmi e a tornare indietro quasi strisciando. Da quel momento cominciarono tutta una serie di visite specialistiche, ortopedici di vario calibro, dalle quali uscì fuori con sicurezza che avevo una spondilolistesi, e con altrettanta sicurezza che nessuno sapeva davvero cosa farne. I più truci mi consigliavano di operarmi, nella loro clinica privata, sgarrando davanti e arrivando a martellare le vertebre dopo aver spostato le viscere; i più possibilisti dissero che se riuscivo a convivere con il dolore - nel frattempo anche il nervo sciatico si era infiammato, e tanto - avrei fatto meglio a non toccare niente. Il più possibilista di tutti era anche il più famoso ed esperto.
"Parecchie persone hanno la spondilolistesi, e la maggior parte di loro neanche se ne accorgono. Il difetto fisico si può correggere con l'operazione, ma il dolore al nervo sciatico non è necessariamente collegato allo spostamento anomalo delle vertebre. Rischi di operarti e poi tenerti comunque il dolore."

Non mi sono operato, e mi sono tenuto il dolore, fino a quando non sono capitato tra le mani di tale Giancarlo, amico di mia madre, agopuntore.
"Posso provare a fare qualcosa" mi disse. E mi fece sdraiare prono. Cominciò a tirar fuori aghi a decine, e a infilarli. Ne avevo alcuni, 4-5, nelle pieghe dell'orecchio, tanti altri lungo tutta la colonna vertebrale e la coscia e gli ultimi giù, sul mignolo del piede destro. Mi lasciò lì una ventina di minuti, e nella penombra gli aghi cominciarono come a vibrare, un ronzio ipnotizzante, a partire dai più centrali verso i più esterni, con una sensazione di unità che andò a delineare una sorta di linea solida.
Ripetei quelle sedute per un paio di mesi, forse, mano mano che il dolore scemava e poi spariva del tutto, finché alla fine non rimase che il ricordo. Questo fu il mio primo, superficiale incontro con la medicina tradizionale cinese, e il primo stimolo a conoscere di più su una piccola parte di essa, quella legata agli tsubo e ai meridiani.

A distanza di anni, lo Zen shiatsu è la mia risposta a questo stimolo. Niente aghi, ma pressioni calibrate. Gli tsubo (i singoli punti) sono secondari rispetto alla linea vera e propria, e il significato di questa va oltre il semplice tessuto muscolare. Il ronzio quasi musicale che sentivo, in quei lunghi pomeriggi, ondeggiare lungo la mia schiena è lo stesso suono che cerco di ricreare percorrendo i meridiani durante il mio lavoro. Parlo per metafore, ovvio, sono solo - forse - immagini mentali perfezionate nei secoli per favorire la concentrazione. Ma funzionano, e questo mi basta.
E, ora lo lo so, quegli aghi delineavano il meridiano di vescica urinaria. Buon riposo.

martedì 19 gennaio 2016

Perché 'sto blog

Dove inizio l'avventura

Un blog è spesso un luogo dove unire piacevolmente - per lo scrittore,  al lettore non ci pensa mai nessuno - l'inutile al dilettevole. Non mi discosto da tale moda: scrivere mi piace,  e un po' me la cavo. Per lavoro,  poi, mi diletto con lo shiatsu e con il sotai, che non son due parole brutte,  non ammazzo nessuno,  anzi direi il contrario,  e quindi ho un movente,  un'occasione, e un'arma. In quanto all'inutile, vorrei provare a raccontare cosa è lo shiatsu dal punto di vista di un operatore, il che,  mi direte,  "ma che ce frega?" appunto. Il web non ha sicuramente bisogno dei miei scritti,  già ne ha fin troppi sul mio altro blog,  While Slowly Going Nowhere,  e proprio per questo io glieli do in pasto. Benvenuti.